Gio. Apr 18th, 2024

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Più l’Occidente condanna più la Russia approva. Mentre gli orrori inflitti ai civili dalle truppe russe provocano uno sdegno trasversale, in patria il tasso di approvazione del presidente Vladimir Putin balza all’83%: ai massimi livelli degli ultimi anni. E, secondo il sondaggio dell’istituto di statistica indipendente Levada, il 69% approva appieno l’operato di Mosca nella cosiddetta «operazione speciale militare» in Ucraina. Tutto frutto della classica propaganda di guerra che martella a ogni ora sulla tv di Stato?

Il consenso si ottiene costruendo una narrazione conforme alle aspettative dell’opinione pubblica. «E Putin lo fa incarnando il revanscismo nostalgico che – ci dice Alexey Levinson, sociologo e ricercatore del Levada Center di Mosca – monopolizza i media di stato e che giustifica l’operazione in Ucraina come una «punizione» per aver «tradito» la Russia, deviando verso il suo eterno nemico: l’Occidente. Un’interpretazione copia e incolla del racconto putiniano che, come dimostra il tasso di approvazione, «appaga il bisogno antico di patriottismo e di antioccidentalismo dei russi, usando stilemi per confermare le convinzioni e alimentare le fobie e le storie che la Russia racconta a se stessa».

Il consenso, però, non può prescindere da una macchina della disinformazione ormai rodata che, dai piani alti del Cremlino, arriva ai media per poi propagarsi giù, nei bassifondi dei social. Anche oltre i confini della Russia. Basta analizzare l’informazione trasmessa da media allineati per cogliere un meccanismo tipo che si ripete: il classico ribaltamento della prospettiva ai danni del nemico si unisce a una diffusione del racconto stratificata su più livelli e più canali dove tutto è fake, dalla fonte alla narrazione finale. Emblema del rovesciamento del punto di vista è il caso di Mariupol. Commentando le «immagini agghiaccianti» della devastazione causata dalle forze armate di Mosca, Olesya Loseva, nota conduttrice di 1Tv, ne attribuisce la responsabilità ai nazionalisti ucraini, colpevoli nella loro ritirata di volere radere tutto al suolo”. Non solo. Mosca, riporta il servizio di sicurezza ucraino, starebbe preparando una falsificazione su larga scala «raccogliendo i corpi dei residenti di Mariupol uccisi dai russi per presentarli come vittime delle truppe ucraine».

Anche il canale televisivo NTv, di proprietà dell’azienda di Stato Gazprom, il primo marzo ha diffuso un servizio in cui si accusano gli ucraini di essersi auto bombardati il palazzo del Governo a Kharkiv. La fonte «attendibile» della notizia sarebbe un sedicente sito di fact-checking, Guerra ai falsi, nato proprio lo stesso giorno dell’invasione russa in Ucraina. Ventiquattro ore dopo, viene sbugiardato da Christo Grozev del portale di giornalismo investigativo Bellingcat.

La trappola della disinformazione raggiunge il suo apice di fronte al massacro di Bucha. Nel riportare la notizia, l’agenzia di stampa pro Cremlino Tass cita un video con i cadaveri abbandonati per strada che svelerebbe la messinscena degli ucraini confezionata ad hoc per far deragliare i negoziati o per strappare qualche sanzione in più contro la Russia. Peccato che le immagini satellitari dimostrino come una fossa comune fosse già stata scavata quando Bucha era ancora saldamente in mano ai russi. La menzogna di Stato, alimentata dall’intreccio micidiale tra istituzioni, media compiacenti e social compiaciuti, si appoggia su siti di pseudo debunking, rivelatisi poi fabbriche di bufale e di consenso, spesso finanziate dal potere e rilanciate dai canali ufficiali del Cremlino. Falsificazioni che si rivelano grossolane e facilmente smascherabili da un osservatore attento, con libero accesso a internet e avvezzo a incrociare le fonti. Ma non dalla maggioranza dei russi che, ci ha spiegato Levinson,«si informa sulla tv di Stato ed è fatta soprattutto di anziani in pensione, poco istruiti, male informati, donne sole (vedove) che vivono in città o villaggi più piccoli: sono loro i più ardenti sostenitori di Putin».

Un contesto sociale che sembrerebbe scongiurare colpi di stato o forme di destituzione interna dello zar. «Ma una piccola minoranza vede le cose in modo diverso e non è detto che nel tempo non possa crescere e la percezione dei russi cambiare». Un rischio che Putin non può correre.



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