Sab. Apr 20th, 2024

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LECCE/CASARANO – Un soggetto fragile ma lucido che ha pianificato il delitto per mesi. Antonio De Marco non era autistico e non era neppure un pazzo. Era un ragazzo capace di intendere e di volere quando ha inferto 79 coltellate con crudeltà e premeditazione sui corpi dell’arbitro leccese Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manta, funzionaria Inps, con un passato in studi giuridici, il 21 settembre del 2020 in via Montello. E a conclusione della sua requisitoria, durata circa due ore, la pm Maria Consolata Moschettini ha invocato l’ergastolo con isolamento diurno di 1 anno a carico dello studente universitario di Scienze infermieristiche finito alla sbarra il 28 settembre del 2020 ma che, anche oggi, ha disertato l’aula bunker del carcere di Lecce per evitare di incrociare eventuali sguardi dei familiari delle due vittime.

De Marco ha confessato l’omicidio. E’, come si dice in casi simili, un reo confesso. La ricostruzione di quei nove minuti di urla, pianti, suppliche di una coppia che avrebbe voluto festeggiare il primo giorno di convivenza è stata vivisezionata dalla pm nel corso del suo atto d’accusa davanti ai giudici togati e popolari della Corte d’assise di Lecce (Presidente Pietro Baffa). Daniele era il suo principale obiettivo. Perché era un ragazzo felice ed era innamorato. De Marco, invece, no. Era stato respinto da una ragazza che frequentava il suo stesso corso e si era sfogato con un’amica a cui aveva confidato le sue sofferenze sentimentali. Ma con loro De Marco stava bene e alle due amiche – ha spiegato la pm – non avrebbe mai fatto del male. “A voi voglio bene” scriveva lo studente universitario di Scienze infermieristiche in un manoscritto sequestrato dagli investigatori.

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Il 19 agosto del 2020, a pochi giorni dal delitto, De Marco cancella la figura di Daniele da un’applicazione di WhatsApp dopo aver salvato l’immagine di Eleonora. E’ lui che De Marco vuole sopprimere. “Poteva uccidere chiunque se fosse stato un soggetto folle. Aveva occasioni in ogni dove. Sul posto di lavoro o all’esterno. Ma lui voleva colpire chi, a differenza di lui, era felice”. Daniele lo era. E non era un facile bersaglio essendo l’assassino ancora in possesso di un doppione delle chiavi dell’abitazione di via Montello. L’arbitro era semplicemente una persona che incarnava la felicità. E, dopoil duplice delitto, De Marco torna a casa e si piazza davanti al computer. Scrive alla madre e alla sorella alle quali, di fatto, confessa un omicidio premeditato e programmato da tempo: “Fino a qualche tempo fa non avrei pensato di arrivare a questo punto ma ormai è successo e non si può tornare indietro”. De Marco invita i familiari a farsi forza “dimostrando – ha spiegato la pm – una lucida consapevolezza”. “Sono schizofrenico ma non autistico” avrebbe dichiarato in una circostanza lui stesso.

E’ questo il tasto su cui batte maggiormente la pubblica accusa nel suo intervento per scacciare l’ipotesi di parte, ossia di un ragazzo affetto da disturbi psicotici. De Marco non assumeva farmaci specifici. Ha condotto un percorso di studi regolare e frequentava un corso di studi universitari. Non aveva problemi cognitivi. Se avesse avuto qualche disagio i sanitari in servizio nel carcere di Lecce se ne sarebbero avveduti dove l’assassino ha conservato la lucidità e la percezione dei fatti. O nel reparto ospedaliero in cui lavorava non gli sarebbe stato consentito di svolgere l’attività di infermiere. Basti pensare che, alle 19.41 del 21 settembre (ad un’ora circa dal delitto), De Marco si sfoga con un’amica confessando il delitto che, ancora, non aveva compiuto scrivendo che “è tutto vero, sono stato io a farlo, tu sei stata la persona più importante”. E quando si è accanito sui corpi dei due ragazzi lo ha fatto consapevole che li avrebbe martoriati (così come spiegato in aula dagli avvocati di parte civile Francesco Spagnolo; Mario Fazzini; Renata Minafra; Luca Piri; Vincenzo Magi; Paolo Antonio D’Amico; Stefano Miglietta e Fiorella d’Ettorre).

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De Marco aveva studiato il percorso sia d’andata che di ritorno. Aveva memorizzato il tragitto per evitare di essere immortalato dalle telecamere che, in realtà, lo hanno ripreso mentre rientrava nella sua abitazione in via Fleming. E nel piazzale all’esterno del condominio dei due ragazzi perderà anche dei fogliettini in cui aveva annotato le macabre sequenze. Nessun dubbio su chi abbia scritto quei manoscritti sulla scorta di una perizia grafologica che ha accertato la compatibilità della grafia con la firma dell’assassino sul documento di identità acquisito dai carabinieri nei giorni immediatamente successivi. E poi ha lasciato persino una traccia di sangue sulle scale di casa poi analizzata dagli specialisti. Era sporco quando De Marco è rientrato nella sua abitazione.

Aveva i pantaloni intrisi di sangue. Sangue delle vittime avvicinate in casa e ammazzate con un’azione andata avanti per circa 9 minuti. Prima Daniele accoltellato in cucina e finito sulle scale nel mentre Eleonora cerava di frapporsi. Urla, strepiti, come raccontato in aula che nessuno ha potuto raccogliere o quantomeno arginare in quel condominio dove si sono confusi nomi e implorazioni mentre un ragazzo infieriva su due corpi per il dolore ancora troppo forte dei familiari delle vittime. Come la mamma di Eleonora che, come ha rimarcato in aula l’avvocato Spagnolo, non riesce a spiegarsi il perché le siano state inferte 41 coltellate. Una spiegazione se così si può dire dovranno fornirla gli avvocati di De Marco, i legali Andrea Starace e Giovanni Bellisario, nel corso della loro arringa difensiva fissata per il 17 maggio. La sentenza, invece, è prevista per il 7 giugno.

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